venerdì 4 ottobre 2013

Il verso è insicuro…




Il verso è insicuro, guardato a vista spesso dall’angoscia, dal male di vivere, che preesiste al ritmabile, ai sì e ai non.
Se si dà liberazione nello scrivere versi (contabilità di sé stessi) allora siamo quei bimbi che nel gioco con gli adulti, che si fingono mostri, babau, non sanno - non si sa quanto per gioco cosciente - dove nascondersi.  
Dietro o dentro il verso v’è l’uso dello spazio; v’è il tempo, che sfugge alle definizioni ma va speso; e soprattutto v’è la parola, l’uso della parola … sassi, o pietre: quelli che si cercano quando si guada un ruscello, in un bosco.

La parola va comunque amministrata, è come una risorsa, è una economia, oìkos nòmos, laddove la casa siamo soprattutto noi, che siamo ciò dove stiamo. Occupiamo lo spazio che siamo. Ciascuno  insomma che è Casa, costruzione e destino, prima di essere interiorità contrapposta ad esteriorità.

Dopo anni sono andato a rivedere i miei versi, del tempo nel quale disperatamente volevo scolpire; sentivo di doverli salvare per non perdermi; e in questo una cosa ha catturato nuovamente le mie sensazioni: l’origine. Le mie parole, più o meno cadenzate, le ho sorprese intente a catturare l’origine, l’àpeiron dei greci, il primo principio (ora acqua, ora aria, ora fuoco) il tema dell’arché. E ho visto due cose: che aria acqua e fuoco sono quello che anche il pensiero ricerca, che l’intuizione anche matematica e non solo letteraria sfiora costantemente. Ma che non è una unica delineata cosa, e invece una vastissima cosa; ma comunque la Cosa, nulla di alto e invece qualcosa che ci perseguita e ci costringe a sublimare.

Registrato il cuore nelle parole, le parole come oggetti restano. Dopo anni si rivedono e cioè si riprendono e si cerca di ridare colore e attualità a oggetti e statuette esangui, o già in parte confutate dai climi del tempo.


sabato 14 settembre 2013

Immagini d’ombra


File:Canestra di frutta (Caravaggio).jpg

La natura che è morta



Due mele rosse o una rossa, due gialle, come teste (idea di calvizie, di fuoco), uno, due grap­poli d’uva (testoline di fanciulli), due pere, noci sparse: festi­val del dono, da vedere, ordine taciturno, fine della strada; paradosso della strada: (essere) senza vie d’ uscita ... fine del viaggio ...
Conclusioni forse banali - congratulazioni fatte al pittore per la sua natura morta, morta per consuetudine e cioè per la miliarde­sima volta: mani gentili, però, ora che vedo, mani tessitrici: nelle mani di una donna il paradosso si fà ponte, saltella con delicatezza, quasi-cristiana ...








Essere anguilla



Perché io, anguilla, vivo in funzione dell’acqua dolce?; e inoltre: che cosa è per me spazio e che cosa acqua? Cosa sarei io, anguilla, e cioè: cosa sarei per­ché lo sarei ri­spetto a quale modello di ma­teria? E cosa sarebbe vita, se ciò che voglio alla fine è a qual­siasi costo oceano?

Essere anguilla, sfuggente, ontos on; forse una pene­tra­zione per la pene­trazione, nello spazio e nella mate­ria, al di là della sa­linità delle ac­que e del clima, dei volti dei ra­gazzi che mi po­tranno catturare per gioco in qualche poz­zanghera privata di senso.
Travasi di senso in quei ragazzi, nella loro storia  ...








La tartaruga e il lucente



Sono alle volte una grande tartaruga, il corpo capovolto che non riesce a rimet­tersi sulle zampe (grinzosi goffi pos­sessi); mi ri­cono­sco alle volte nella sensazione so­vra­stante del ru­mo­re di una serie di semiruote di me­tallo lucente che lavo­rano oscil­lando rigorosamente, in un moto per me intocca­bile.

Io immobile vedo dal basso tutte quelle ruote-scale e così sono ri­verso, im­messo in un gioco incalcolabile di mo­sche arcaiche rumoro­sissime.

Sono in questo modo una grande tartaruga capovolta, ho so­pra di me il cielo pieno di luce, a tratti abbagliante, e così mi viene spontaneo so­spendere il giudizio, rasse­gnarmi, atten­dere ulte­riori segnali.
Preferi­sco pensare al po­ter non capire di capire ... Ma con quanti rimpianti per la mia fragilità!








Stagione d' ombre



Ce ne stiamo come calde ombre quando ancora l'autunno non grida e l'estate s'allunga insinuandosi nelle cose.

Qualcosa che è trascorre e noi si va col sentimento dall'esser om­bre al vedere ombra attorno a noi.


sabato 22 giugno 2013

Prime Stanze





(1)

Ma non è dolce così il canto degli uccelli
come si dice
se lui
quel mattino
si metteva nel canto
in mezzo al nero orribile del cielo,
e al colosso della grande pioggia
che spaventa gli uomini.




(2)

Il presagio
in quel sorridere il mattino di una pasqua
annegata
nel lattigginoso
e nei peschi astratti sotto le finestre
non so quale fosse;
non so per quale nascosta non ragione
Egli li avrebbe uccisi tutti,
i suoi figli.



(3)

Ora, che cosa significa se io dico
«non ha fine, questa primavera»?
O che cosa significa se io dico:
«io t'amo»?
Dove queste cose - io mi dico -,
come ogni cosa,
significheranno?






venerdì 17 maggio 2013

Una curva



Negli occhi v’è una curva 

mia persistente
della quale non vedo la fine.

Una pal­lida attesa co­stitutiva, quasi fosse un profumare l'aria di qualcosa di non visibile;
una mimosa
bisognosa
di de­licatezze, com­prensione,
anche così... cristiana...
Ora Lei mi at­trae.

La curva nell’offrirsi all’occhio
non ha fine
essa non finisce a causa di sé... e mi chiede della forma. 

Ac­cen­dersi
come in una sera improvvisa della mente
di bi­sticci 
tra Eros e Forma...

L’oliva e l’uovo




«E così sono ovipari gli alberi vasti, olive dapprima deponendo»[1].

L’olivo, vasto, porta sui rami forse uova: idea approssi­mativa dell’età del cielo e ... sogno, a causa della vista?

È analogia, fra l’oliva e l’uovo: parte ge­ne­rativa in­terna, 
parte nutri­tiva esterna.

Se­pa­razione della vita dalla forma (lacerante este­riore), ovvero 
canto singolare per l’an­tico poeta-scienziato. 



[1] Empedocle, Sulla natura, frg. n. 79 (ed. Diels-Kranz). 

Esistere, di una fontana



Quella fontana, nel giardino d’agosto
- incessante tenerissima lontana - esiste: 

è lo sguardo materno, la mia faccia, la persona, di­venuta pie­tra, 
e accanto raggi di sole
come tracce di pas­sato;
talune aiuole, timide vena­ture del le­gno; 
alberi, che risie­dono nella mente. 

Deve essere esistito lì nel presso come un volo di farfalle, 
bimbi lievi che cor­re­vano dietro a un cane
strillando nel gioco
ed erano persi, di passaggio; 

folto verdeggiare di ra­dicchi al sole,
assetti teo­re­tici; una qualche scultura impeccabile 
armoniosa, carica di equilibri.

... Deve esserci stata una fontana, nel passato, in un co­smo tiepido e quieto, forse l’origine. 
…Una vita, un perdono, come av­viene che non vi sia colpa. Poi più nulla
ovvero: sag­gezza, tradursi dell’origine in acqua, in onde preesi­stenti... e così via… 

Clinamen



Inclinano gli uomini ai regni d'ombre, le annusano [1].

Poi si rovesceranno, per­ché l’idea sia come di­scesa; e il vento riapparso sempre cadrà... 

Nasceranno: è l’apertura; ma qualcosa deve chiudere, qualcosa sempre va detratto... 
Gli oc­chi reclamano quella discesa per­ vedere; il bene con le sue labbra dice: aderire alla terra
i cuccioli li vedo tremo­lare, come mammelle...

Clinamen generativo, materialismo antico, vecchia ra­dice d’essere, che non nasconde il suo lusso (abito sopra una po­vertà predefinita...); 
esso anche è la via, l’uni­cità (stessa medesima figura di para­bola)  che conduce il tramonto per mano...



[1] Espressione di Eraclito, Dell’origine (frg. n. 110). 

Antichità


Frugarono nella Natura gli anti­chi: oggetti pallidi, senza parola, corpi dell’in­differenza... 

cose così ma ch'eran tutto -
e Lei amarono sorpresi dal modo suo d’esser cosa... 

Nacquero canti allora nella meraviglia e nell’ignoranza della mate­ria, 
dalle ombre che precedono il lin­guag­gio... 

Ori­gi­nano le cose da ciò di cui son fatte: ov­vero l’acqua, l’aria, il fuoco, la terra, e poi Con­cordia e Contesa fra gli ele­menti [1]...  

Tutto forse era già deciso... dall’amore all’intelletto il passo fu breve, forse fu salto, ca­duta... forse. 



[1] Percorso in senso contrario, nel sentimento, rispetto ad Aristotele, Metafisica (lb. I). 

domenica 24 marzo 2013

ONIRICI 90 (trascrizioni di sogni)




1.- Marta, itinerari del senso di colpa

Lui, P., andava a trovarla, in una pensione.
Il primo giorno stava bene, Marta, con la sua camicia da notte color crema; rispondeva alle domande, era serena, non sembrava nemmeno ammalata.
P. era contento che lei non soffrisse, o non sembrasse soffrire, lo era al punto che si domandava perché la sua vecchia amica - che egli almeno riteneva tale: ma forse era la madre, una sorella - giacesse lì, in quel letto vicino alla finestra, collocato verso il centro della stanza chiara, quando avrebbe po­tuto fare una vita eguale a quella di tante altre donne: uscire al passeggio, conversare con le amiche...
Era strano, ma per lui quella domanda era come un problema da risolvere logicamente, con la sintassi del suo cervello non più tanto giovanile: aveva ora quarant’anni. E forse la donna, in quella condizione, li esprimeva, fungeva da allegoria.
Quando era per strada quella domanda lo ossessionava: quelle donne, che susci­tano la solidarietà dei passanti, per la loro manifesta età oramai non più verde, erano fortunate, potevano camminare per la strada, osservare le vetrine dei ne­gozi, salutare i conoscenti, ecc.; esse rientravano nella normalità e non erano colpevoli di tutto ciò che potesse loro accadere, questo andava riconosciuto ... ma quanto era idiota il fatto che fossero esse a voler essere compatite e quanto lo erano i passanti che le salutavano, che le compativano.

Il primo giorno - questo P. lo avrebbe ricordato finché fosse vissuto - quella stanza chiara era piena di sole. C’erano altre due donne, silenziose; c’era l’armonia, in quella stanza d’albergo.
Tornò a trovarla più volte, P., e lì trovò un giorno il fratello, che ai piedi di Marta scherzava amabilmente. Non riusciva a capire che razza di rapporto fosse quello suo con il fratello. Era sì il fratello, ma poi? Forse si fingevano fratelli, facevano del tutto per esserlo ... forse un giorno lo sarebbero stati, perché non lo sarebbero mai stati…
Amici non sarebbero mai potuti esserlo, se le parole, le singole parole, avevano significati abissalmente lontani per l’uno e l’altro; e allora?
Suo fratello quel giorno s’intrattenne al capezzale di Marta più a lungo del solito (di solito veniva e andava, correndo dietro ai suoi appuntamenti, una parola che P. non capiva, e dunque odiava) ed era sera, una rossa sera, mite, quando i due si abbrac­ciarono e si separarono, come debbono fare i fratelli. P. notò che da qualche anno, stranamente, abbracciava e baciava molto di più di quanto avesse mai immaginato. Sapeva che era una commedia ma lo faceva egualmente.

Un giorno, era di domenica, un giorno di festa, quella stanza si popolò, erano le visite dei parenti, secondo l’usanza, e dunque al di fuori di ogni coscienza, e gli ap­parve come la sala di un ristorante, gli ricordava meglio una trattoria nella quale andava con i genitori, vicino a Firenze, in una dolcezza straziante delle domeniche d’in­verno, sotto carnevale, con il fiumiciattolo nativo dell’Appennino che s’insinuava in un pioppeto, un ponticello di legno, e i mascheroni di cartapesta seminascosti coi colori in penombra ad una stradina soleggiata, in una rimessa per i carri. Il fratellino, graziosissimo, con gl’istinti di gatto, che dava camminando la mano al padre.
... Aveva gli occhi volti al soffitto, mentre ricordava queste cose, e Marta se ne ac­corse, e lo guardava. Marta adorava, lei che aveva lavorato duro tutte le settimane, andare la domenica al ristorante: “per farsi servire”, diceva.

domenica 17 marzo 2013

Il pioppeto, un fiumicello ...




Caro papà,
caro non senso,
ti ricordi dei pioppi
dell'appennino tosco-emiliano? 

Ricordi di quel sole che era un tempo? E ci determinava, sorridendoci ?
Laddove noi uniti correvamo, come raccolti ?

E tra i pioppi quel fiumicello con il rumore della sua corsa e
l’entusiasmo atletico alfabetizzante
del Bello?: il Nostro ?

Il sole solo
nel cielo d’inverno,
l’inverno Bello

racchiuso nel nostro manto,
in terrestre non senso?

ahimè ! la pelle di quei pioppi ... 

Papà-libertà,
tu riempivi il vuoto… e io lo sentivo

Libertà-fosso, fosse, foglie
dopo tanto nella mia mente ora leggera

ora pietosa del sé,
che indossa. 


Senza che vi sia Luna (frammenti personali)




Il compleanno

La storia cambia
nel dolore,
nasce questa sera la luna
senza un canto;
intorno tutto tace: primo compleanno di me febbricitante senza una ma­dre...
Lei era oramai ossa di cristallo, a tratti con­tenta del poco, il suo cancro l’aveva in­gentilita...

Tutto tace intorno, fuori fà freddo, affiora l’essere qual è; questo, quello, qualsiasi. 
Dice il vento smorfia notturna: Sii come il frutto, staccato dall’albero... 



Giochi d’ombra

Quale l’ombra, Pietro,
per un sole non convincente?
Giocavi col legno colorato sotto gli occhi d’acqua di tua madre, ed io lontano, indifferente, quasi adulto...

Eccoci infine dopo anni immersi nel verde di un prato straziante, verde-ricordo... come comici. In giochi d’ombre, che sono colonne, contro il sole, che ci sta a guardare.




Veli e foglie

Ha perso i veli, la verità, per aver detto noi che ne aveva tanti. È così che un al­bero perde le sue foglie?
Verità d’autunno: guardare nel buio credendo di vedere...



Limoni

Porta in dono limoni, frutti del suo albero, del suo sapere; propone sorridente eterna maternità... ma grembo inaridito
Così è Lei
forse mostra una strada, un terrapieno... che è polpa-di-limone.

È semplice ninfa forse col cuore tremolante, che vuole giocare?



sabato 16 marzo 2013

Empèdocle (sciorinatura notturna)


 



I

Delle cose naturali
qualcuno pensò
che dalla Terra
prima che la notte e il giorno si separassero
fossero nati gli alberi
che avrebbero avuto maschile e femminile
unificati in sé.

Che l’autunno delle foglie cadenti
venisse sempre dal caldo d’estate
che soffoca le linfe

e che ciò non fosse per l’alloro
l’ulivo,
la palma…

: qualcuno il sesso
della vecchia moglie
lo avrebbe riamato.



II

Amore disgregato
poté generare
animali e piante.

Dal tutto per congiunzione
nacquero cose
prive di sesso.

Nulla di bello
niente neanche
di musicale e bello.

Privi di silenzio
furono gli abeti
grande ne fu per gli uccelli
e gli insetti la sorpresa.

Sfiorò subito
l’uccisione.



III

L’uomo cadde sulla testa
assai presto
nella notte storica.

Disse infatti il Mare
Empedocle
il sudore della
Terra.



IV

Ha grosse gambe la tua
Luna?

L’occhio è gentile?
forse sapiente.

Poco sociale è l’occhio
che vede rarefatte le cose.