sabato 14 settembre 2013

Immagini d’ombra


File:Canestra di frutta (Caravaggio).jpg

La natura che è morta



Due mele rosse o una rossa, due gialle, come teste (idea di calvizie, di fuoco), uno, due grap­poli d’uva (testoline di fanciulli), due pere, noci sparse: festi­val del dono, da vedere, ordine taciturno, fine della strada; paradosso della strada: (essere) senza vie d’ uscita ... fine del viaggio ...
Conclusioni forse banali - congratulazioni fatte al pittore per la sua natura morta, morta per consuetudine e cioè per la miliarde­sima volta: mani gentili, però, ora che vedo, mani tessitrici: nelle mani di una donna il paradosso si fà ponte, saltella con delicatezza, quasi-cristiana ...








Essere anguilla



Perché io, anguilla, vivo in funzione dell’acqua dolce?; e inoltre: che cosa è per me spazio e che cosa acqua? Cosa sarei io, anguilla, e cioè: cosa sarei per­ché lo sarei ri­spetto a quale modello di ma­teria? E cosa sarebbe vita, se ciò che voglio alla fine è a qual­siasi costo oceano?

Essere anguilla, sfuggente, ontos on; forse una pene­tra­zione per la pene­trazione, nello spazio e nella mate­ria, al di là della sa­linità delle ac­que e del clima, dei volti dei ra­gazzi che mi po­tranno catturare per gioco in qualche poz­zanghera privata di senso.
Travasi di senso in quei ragazzi, nella loro storia  ...








La tartaruga e il lucente



Sono alle volte una grande tartaruga, il corpo capovolto che non riesce a rimet­tersi sulle zampe (grinzosi goffi pos­sessi); mi ri­cono­sco alle volte nella sensazione so­vra­stante del ru­mo­re di una serie di semiruote di me­tallo lucente che lavo­rano oscil­lando rigorosamente, in un moto per me intocca­bile.

Io immobile vedo dal basso tutte quelle ruote-scale e così sono ri­verso, im­messo in un gioco incalcolabile di mo­sche arcaiche rumoro­sissime.

Sono in questo modo una grande tartaruga capovolta, ho so­pra di me il cielo pieno di luce, a tratti abbagliante, e così mi viene spontaneo so­spendere il giudizio, rasse­gnarmi, atten­dere ulte­riori segnali.
Preferi­sco pensare al po­ter non capire di capire ... Ma con quanti rimpianti per la mia fragilità!








Stagione d' ombre



Ce ne stiamo come calde ombre quando ancora l'autunno non grida e l'estate s'allunga insinuandosi nelle cose.

Qualcosa che è trascorre e noi si va col sentimento dall'esser om­bre al vedere ombra attorno a noi.








Il teologico



Teologico che si culla in ogni fango, ogni pubertà ...: il mio Jesus hege­liano era (che cosa?) me fan­ciullo ... mi sentivo inerte nella casa dei nonni paterni. Poi si è come le­vato il vento, a sospingermi fuori da quella casa ...
Son tramontato io a mia volta?








Paura di Pan



Paura di Pan, passi innumeri compiuti nel linguaggio, paura-certezza; ovvero: seme caprino solo apparente, indele­bile nel cuore agreste o boschivo della cul­tura.
O piut­tosto è la ri­ve­lazione, finale, at­tesa, il temuto-amato (nonsorpren­dente) dell’intui­zione, la sua magrezza, che viene dopo un lunghissimo aver cammi­nato-cercato, inutil­mente, aver percorso quella strada sulla quale ci era­vamo scoperti, ridestati; aver attraver­sato una pianura (casa, anche, di desolazioni); esser saliti su una col­lina, per osser­vare me­glio, per capire, per carpire; es­sersi alla fine addor­men­tati, dopo la lunga vana ricerca? ...
Ed aver tro­vato l’intui­zione vicina al sasso del caso, sentendola come non nostra ... noi ri­versi, nello stato di veglia, e Pan lì in piedi, che ci guar­dava: lo stava fa­cendo da tempo, innocuo (forse) com’è, ombra schiac­ciata con­tro il sole, quasi indistin­guibile dalla casa di luce, del sole.








Incontri



C'è sempre un tramonto, di fronte ai nostri occhi, di­ceva lui, rompendo il silenzio, voluminosa paura contaminata.
Lei di­stoglieva gli occhi dal sole, dal paesaggio, guardava l’amico, e dopo un momento osservava gentile ma de­cisa: Il sole è uguale, per tutti. E’ strano come ti so­migli un po'... 
Era la possibilità che incontrava il progresso, prima del tramonto di un sole giallo-oro. Sei-sette-otto  ... cento?








Voglia di nuotare?



Volontà: di camminare con il male (lo si fà, sempre, con il sole); studiare le sue sere, assisterlo nel tramonto, portare fiori in dono al male, la sera: (sacrificare agli dèi ed) essere così prima­verili? Voglia forse di nuotare?








Lancette



Di lontano vedo la schiena di un antico: con­tadino o filosofo, greco, pugliese ... sul dorso di un asino, come fosse il ridicolo dell’amico. Traversa un uliveto, bizzarro ... indifferente. Lo chiamo, con vari nomi, ma non mi ascolta ...
Vedo il cielo, che scintilla, poi le mie mani, le dita, dove si segna il tempo ... Lancette di un orologio?








Morale



Morale del saggio, pietra su pietra, confacenti; arte della costru­zione, della consolazione o del piacere.
Pietre ben ta­gliate, forse non molte, morale del taglio; al­cune però - le più impor­tanti - hanno contorni che fuggono nel profondo.
In su­perficie resta l’arpa, la prosodia, l’arit­metica non la matematica dei sensi ...









Paradosso sul fratello



Dopo anni il fratello si confida. Un fratello è sempre inno­cente; quanto can­dore nei suoi occhi, di un caldo noc­ciòla!; hai an­cora nella mente un bel viso di bimbino, bisognoso solo di aiuti ...
Ma ora è tardi: egli ti apre il suo cuore e ti accusa di avergli pro­cu­rato un male fisico al ginocchio, molti anni fa, che poi lo ha portato a soffrirne a lungo; lo ha co­stretto sul lettino di una cli­nica. Ti accusa di avere atten­tato alla sua sanità mo­rale con le tue idee ... Sembra ogni tanto che egli ti guardi con odio; ma il suo modo di guardare la luna, la sera, è im­mu­tato ...

Tuo fratello, di pietra bianca ... tornerà presto a sorriderti e ad ab­bracciarti ... nel suo essere come scolpito. Forse lo avrai solo immaginato…








Femme-Christianisme



Te ne vai - forse d’aria - per il cielo con il tuo biancheg­giare, femme-christiani­sme[1]; la virilità dietro di te si attarda: ha dinnanzi viaggi nella castra­zione, cui sembra predesti­nata; tu pungi così, volgen­doti indietro sor­ri­dente, maschi eroici, inverecondi ...
Ritagli realtà spiri­tuali par­lando, sor­ridendo, edu­cando... 









Comicità-tristezza



Comico disseminarsi nella storia, disgregazioni che sono mattoni per ogni possibile teorìa dello scopo.
Disse un giorno la filosofia greca[2], giunto il tramonto di certo suo naturalismo: Se nelle femmine degli animali le mammelle son sotto il ventre, è perché ne fossero protette ...; essa, cosiffatta, sul sentiero delle grandi riforme di ragione mai si è doman­data: Dove sto andando, in que­sto momento?  

Comicità-tristezza, allontanarsi silenzioso della dottrina dello scopo dalla nostra riva sentimentale, profondi se­gnali di una partenza ...; pos­sibili confu­tazioni di quella dottrina ad opera di un bimbo; ovvero sua co­mi­cità, quasi-notturna: il bimbo lascia che lo si nu­tra, lo si lavi, lo si ve­sta, lo si pet­tini, lo si guardi, lo si protegga; vuole che così sia perché egli possa un giorno mo­strarsi, così costruito, inconoscibile ... Il fi­glio­letto, così  ado­rabile, è un mostro?

... Comicità, inesausta; il vento anche ora si leva, inat­teso; e come in uno strano sentire la corda che io sono si tende: sve­larsi d’im­provviso dell’indicibile, anche nelle confuta­zioni ...








Strategia e gioco



Il bimbo disegna (e ridisegna), ovvero guerreggia ... Di­se­gno della guerra, strategia e gioco, cose molto anti­che; profondo è il vento che le trasporta negandole (Il mae­stro Guan dice che le valutazioni strategiche de­vono essere ef­fettuate in patria[3]) ... E  di più, ancora: disegno del sogno reli­gioso, il voler formare le acque, dominare-ammansire, l’oceano ... an­che un gran mare, un cane violento ...

Questo è il bimbo: sembra quasi preesistere al do­lore, alle sta­gioni, a giorno-e-notte. E’ proprio colui che gioca, prima di tuf­farsi nell’oceano.








Un nuovo fratello



Fine-novecento, una estetizzazione che non teme l’arre­sto, intel­ligente come la spazia­lità di una sedia; il go­mito pog­giato da qualche parte, l’aria che s'insinua fra il colletto della camicia e il collo, l’esitazione da se­duti, una certa quale fissità, un in­terminabile racconto. Op­pure anche: l’in­determinabile della rappresentazione; il frugare in soffitta, pur di suc­cedere nel gusto del lin­guag­gio-frumento; il gio­care a na­scondino con l’aspra crosta terrestre, il blan­dirla; il procurarsi affermazioni ...

Affermare - mi dico quest’oggi - è come donarsi un nuovo fra­tello ... 








Antichi dèi



Antichi dèi inesistenti, ma con tracce; il loro stuolo ... nebbie sua­denti, in­tocca­bili, nascondigli; eppoi il lin­guaggio che re­si­ste nel linguaggio; ov­vero: giocherel­lare di brava gente nella gio­stra degli antenati: lassù nel cielo stellato si vedono poeti, scien­ziati, scultori; citta­dini esemplari... mi­grazioni del sangue, as­sai not­turne.

... Siamo popolo, nazione, stracci gioiosi dove palpita un cuore. E cioè: lasciamo moralmente ad altri il per­corso: chilome­tri di terre ghiacciate e prive di case, forse di ogni cosa che si possa pensare come cibo  ...

Antichi dèi, un sommo sentire; ma caldo moderno plaid offer­toci dalla psico­logia. Ovvero, detto dal Figlio allo spettro delle sue paure: Ho letto, Pa­dre mio, sulla ci­viltà, un libro di psicologia ...; diceva: “crollo della mente bi­camerale”, “nascita della ‘coscienza’ presso al­cuni popoli dell’ anti­chità” ... Ho ­visto così antichi templi, un colore straziante ... (Primo sorridere dello spettro: la pioggia notturna libera le nebbie al mattino.)

... Negli antichi templi i re-sacerdoti udivano la voce del dio. Ora so che in­tere civiltà si ressero su allucinazioni uditive; ma que­sto forse non mi sorprende ... Ecco, Padre, il mio sa­pere-ar­rossire .... Come dire? ... Tutto questo è pro­fondo costrutto, ma­lattia chiusa nel tem­pio, malattia-ordine. Un bal­letto reali­stico, fra grazie ... (Secondo sorridere dello spettro, in fondo bello ...; ma ... an­cora quel colore straziante, compli­cato dal sole ...)








Regressione dell’ anima nell’ acqua



Lei minuscolo velame per una barca amica, è questo, questo senso del dono, della paura, della ragione mi­nima, della pic­cola tra­volta sessualità: nell’immergersi nell’ac­qua, nell’en­trare in una casa, in un cuore, senza rispo­ste.

E’ una vita trascorsa fra queste piante senza che vi fosse un giar­dino, fra questi muri senza che vi fosse casa; o anche: re­gres­sione dell’ anima nell’acqua [4]; laddove si ha la mate­matica ot­tusa dell’essere, del limite, delle circolarità rifiutate: così si muore, come si vive, come si entra nel pia­cere ...








Il silenzio



Il silenzio è ciò che non dirò mai, o che non posso dire. So della tragedia, che s’imprigiona nel mio antro sino alla tra­sfi­gura­zione: in sogni, in astri, in dè­moni, in parole, in frutti; solo così può uscirne ...
So degli uomini che s’ innalzano e come il fumo dileguano[5] ...








Novum Organum



Novum Organum: alla natura dovere obbedienza[6], ovvero compe­rare
La mia casa un giorno diventò moderna; si popolò di nuovi strumenti: per snidare, misu­rare, identificare, plasmare; per amore-ne­cessità, non so se lieto ... lì per lì mi sentii potente, rassicurato: stavo cambiando?
Dietro gli strumenti s’affacciarono piacevoli i fantasmi ...








Bussano alla porta



Bussano alla porta, questa sera: sono anime, che vogliono uscire dall’ im­percettibile?; cavalli, che vogliono en­trare nel verde (bosco, pianura, breve del prato...) della no­stra mente? Sono aquile chiamate a nidifi­care sopra il nostro abisso; o forse è il nostro stesso nudo, che cerca la luce?








L’ animale



L’intelligenza è l’animale che si nasconderà sempre, giorno e notte, da qualche parte, perché noi dabbene si possa af­fer­mare che essa esiste, e le si possa trovare un abitino adatto.

Concretezza e presenza-assenza sono l’animale, che non ab­ban­dona mai la sua tana; l’intelligenza è muta­zione e fumo ... 
Accenti questi di un’epoca dell’eco senza og­getto. 








Elemosine estetiche



Il mio scopo, come pelle indurita, è povero vetro esterno. Ve­ste cose svanite?
Solo elemosine estetiche, che restano nell’intelli­genza? nella evoluzione degli og­getti, se è vero che ciò che è riproducibile per ciò stesso non è più ...

Rimbombo pode­roso - come per una caduta d’ altro - della ri­pro­ducibilità e messa a nudo[7] dell’ estetica (povero vetro esterno) dell’ intelli­genza, nella evoluzione degli og­getti.








Philosophy of the Poors



Se l’occhio cade su un rosso tramonto, o su fili d'erba prosciu­gati dal sole della prima vera estate, balena nella mente una grande sabbia: si chiama Philosophy of the Poors.

Il tempo si scopre privo di finalità ... voragini, non più fecondate dal sonno; non più risorte nel mio mattino teo­logie possenti.

Ascolto nel mattino un suono ostinato di campane, forse uno sciamare, o un fruscìo, un empirismo che non ha più piedi per toccare la Terra, e si è munito di ali per volare, ampie e vario­pinte, ali fragili all’ urto di venti forti.

Gli angeli bar­buti fuggono, ora; è l’ ombra che vedi pas­sarti da­vanti, ombra della natura; ma l’hai tu solo pen­sata








Vaso per fiori



Che cos’è quel vaso per fiori, che non è costato molti soldi, venti anni fa? Ho donato la cosa, ricordo, a mia madre; e ora la ritrovo, presso di me, dolo­rante. Mi viene incontro, stando in un angolo?
Che cos’è quel vaso per fiori, con il denso blue, venature come labbra, il sabbioso della sua cera­mica, che nasconde un mac­chinario, mani, occhi, figlie dell’arti­giano, con le gonne, le camicette, le gambe ...: tutto da immagi­nare? ... E la sua sen­sualità dorata im­pressa in forme di foglie (specchiate tinte e lucentezza) ve­nate di bianco: che cos’è?
Forse è che mai illanguidisce, di fronte alla storia della mia in­sensibi­lità.








La firma



Attimi di gelo, ovvero: rapporto che ho con la (mia) firma ...; la firma è gesto minimo; tombifica[8] Essa incide, è scriptura-ere­zione, entrate-uscite dalla virilità-albergo, piedi minuti ridi­co­liz­zabili
Per fare tutto questo essa ha bisogno di mani ... Lì per lì mi do­mando dun­que: di cosa è fatta in fondo la mia mano? ... Ho paura che si possa fran­tumare ... Qual­cosa di non suo si river­bera in lei ...

La scrittura, la firma, conclude, ed in questo va attuata; ma sono lambito nel farlo da un’ombra, un sentirmi prede­stinato ...  E’ forse lo strito­lamento di ogni stile? Non di ogni possibile, però (il possibile che è anche un velo) ... Allo stesso tempo l’affidarsi improvviso alla scrittura è forse il traver­sarsi, l’essere fune do­lorosa­mente, e sotto avere lo stra­piombo. 

... Il sentire in quella firma fugge, è e non è il mio sentire. E’ ac­ca­duto che io sia stato gettato nell’ età adulta, e oltre, come in un campo di grano, alto, giallo, ricco di ragni, segni della mia igno­ranza; è accaduto che io vo­lessi fortemente tornare indietro; ma questo io sono, mi dico, se sono ributtato su di me ... Non sono libero nemmeno di crollare nell’ arcaico, per paura che esso mi ne­ghi: puntellare allora la scrittura








La mano e la materia



Stranezze in certi momenti della materia, che si muove; incre­sparsi di qual­cosa, nei miei sentimenti. Non so se sto osser­vando il movi­mento, preso di per sé; non so se ho a che fare con piedi o con mani, mani lontane o d'al­tri, oppure mie ...

Sensazione del tatto, materialismo che defluisce in cate­gorie: cal­colo scru­poloso della distanza: fra la mano (di una lei) e gli oc­chi (miei); confronti assidui dell’imma­gine di questa mano de­stra, di questa donna (pianura, con sassi che si raggrumano, qua e là ...), con quella della sinistra. 

Raffronto (susseguente, conse­guente?) fra quella mano de­stra e la mano destra di altra donna: altra mano, destra?, a questo punto? Domando in­concludente in­fine: ma come debbono es­sere le mani? Che pensare, più di quanto io non creda, equi­valga a ri­nunciare?








Danza e non



Non amo la danza, se non forse un po'; non amo dan­zare, per­ché ho paura che il mio corpo si trasformi in un cartoc­cio o in un sacco ...

E se poi così divenendo un vile contenitore di castagne, di noci, di  pere, o di corpicini di passeri stecchiti  (da traspor­tare o da consegnare, pronta­mente), fosse li­be­rata proprio l’anima? Prima esitazione, del discorso su «corpo e anima», presso la soglia di antichi dilemmi ... antichi templi ... Non vorrei entrare in quel tempio, per le molte paure: po­trei tor­nare al vecchio dubbio, e pre­ferisco l’aria aperta, il quieto sus­surrare del cielo, la certezza-senno delle cose ...

Eppure mi piace, l’ antica danza, come può piacere ad ognuno uno stare di forme di abbandono, un qualche angolino lindo del dionisiaco che possa confinare col nulla, confutare il nulla: un altro . Mi piace il passo ca­denzato nel verso che non sia un non cam­biare ve­ramente; mi piace il filosofo occidentale che parli da erudito suicida na­tivo del dionisiaco: il corpo come il limite ... e dunque poi ancora soglia finale, francese, della nu­dità; nudità di scuola. 
Ma allora già sono forse cartoccio o sacco, già è come dan­zassi? ... Sono nato danzando, fra cose ...








Motore inconfutabile



Dice il mio tecnicismo, come fossero fac­cende del cuore, dell’ onore: vorrei salvarmi, nel più che moderno di un’ au­tovettura potente dal motore inconfutabile che non sa che far­sene dell’ enfasi, del pilota o del meccanico. Lei sarebbe l’oc­chio, la mente, l’isola verde ... Vorrei salvarmi nel sa­pere solitario degli occhi, dell’abita­colo, un mantello-metallo, trasparenza-abisso del cri­stallo

Narra così l’antinutrice: prima venne l’acqua, poi lo spec­chio, poi le lenti bifocali, poi schermi-autovetture ... Sono schemi per l’animo, in fuga dal nulla ...








La sedia e il seno



Fastidio, della mente, nel dover vedere dove si na­sconda la di­gnità di una sedia, il suo strano essere sedia: una rin­corsa im­possi­bile? ... Forse soffre, la cosa; e le sue in­voca­zioni as­somigliano al si­lenzio; ciò che ad essa sembra ap­partenere (come l’ uso, la forma, lo spa­zio) è devastante ...

Sale alla mente, nell’ analogia, la linfa della madre, che non chieda ma doni ... ovvero ancora il silenzio, che pro­voca la co­no­scenza; il dover rovi­stare qua e là, per puro sentimento del do­vere: forse è una qualche igno­ranza del bene, ineli­mi­nabile?  ... Pudori fortissimi ... 

Fastidio, della mente, nel dover parlare del rapporto fra il seno, materno, pre-materno, e l’ essere: anche qui è do­lo­rante la mente, impacciata, presto nervosa; un serrarsi di porte di ferro.

... Misteri imprigionati nella cosa, in conclusione: su que­sti ghiac­ciai, lungo certi pendii, non tutti sanno cam­minare, per­ché sa­per camminare signi­fica saper prima correre, e saper prima correre significa sapere ancor prima ca­dere ...
 







Gusci d' uovo



Gusci d'uovo, forme dell’uovo: materia: le per­corro una ad una, con i polpastrelli delle dita: di­versità di forme nella stessa ro­ton­dità; rotondità plu­rime della mate­ria, che s’ impara a vedere; materia d'uovo, fisicità delicata del calcio; rotonda testa, di un fanciullo;  rotun­dus deus di antichi pensieri latini, amabili con­versazioni di una villa, scrit­ture, e vicino cibo in abbon­danza, e li­bagioni: diversità dei li­velli del vino nei boccali ... Quel dio sulla cui natura s’indagava con filosofiche parole, non può na­scondere il suo essere in quanto esser fatto di, molto a lungo. E' uovo, ma­teria, uovo, simbolistica­mente, idealizzato in cir­colo. 








La schiena



Qui forse oggi si conclude ogni domanda-parabola sull’ essere, che sia es­sere-stato. Nessuna faccia, nes­suno: l’ essere ora è in ciò che volge la schiena ... Figura, presa di spalle, chiusa nelle spalle, che non si dissolve, non si difende; anonima con una giacca lisa, sua-non sua ...; e ancora: di­stesa di foglie, di capelli ...; il bestione pe­loso, montuoso, l’ essere, mi volge la schiena ... è dentro una giacca, un sacco, un manto, dentro l’ aria ... Ovvero può essere un tronco d’albero che è stato bru­ciato, l’identico dell’albero, oggi e due­mila anni fa; il vagone al mattino di un treno del tardo novecento, contorto, dila­niato dal fuoco; una sfera di fuoco?; può es­sere monta­gna durissima, deposta nella sua im­pene­trabilità ... 








Il farmaco



Senso, riassunto breve, della nostra farmacofilìa. Si ri­cerca il pia­cere, so­stenuti da una fede inconfessata (un po’) in norme, da tener fuori: le norme ci sono, deb­bono essere, retrostanti, in qualche angolo della na­tura, della nostra pas­sività: di fronte a ciò che è este­riore.

Il farmaco sprigionatosi dalle cose è lì sul tavolino che cantic­chia, mi guarda rallegrato e vuole esser preso, inghiottito, trasfor­mato: per prendere, in­ghiottire, tra­sformare me, ralle­grandomi.

Equivalenza di tutto ciò con un percorso tecnico. Il far­maco è vero, come questo ponte senza il quale non su­pererei il fiume dalle acque oscure: ostilità in quelle acque, fiume-es­sere che fà sembrare di essere, cata­pul­tando fuori di sé piedi e mani, teste e cuori ... Bal­letti di ogni mia possi­bile morale (nel mio modo di guardare quel farmaco) ...

Esso ora mi è molto vicino, e si sbilancia in promesse; di vite sor­ridenti, di gioia, di vittorie; sopra la mia testa è tutto come un dolce calare delle stelle ...








Un castello-cervello



La vita si è cullata in te, per millenni, ellittica madre; ora ha bi­so­gno di un’ artificialità, di un mondo non vero, non proprio come di un mondo non vero; per avere sol­lievo.
Aveva già il sogno, ma ora non vuole barattare l’ evi­denza coi so­gni ... Lei, come cuore nella storia, final­mente si racchiude in sé, de­si­dera una casa che non sia una casa, e piutto­sto sia un ca­stello.
Abban­dona le mura invecchiate, con sensi di paura: ve­deva im­pressi nell’ alba i molti cani randagi che mor­dono i pol­moni, di­sper­dendo i doni nella ferocia ...
Versa dunque nell’ abbandono, quella pallida vita? ...

Ora vede un colle verdeggiante, fuori le mura; sopra quel colle na­scerà un castello, per il cervello: un ca­stello-cervello, logica immediata che subentra alla musica, il desi­derio, che veleggia nelle pieghe di ogni oggetto, nell’ essere ogni oggetto ponte ...
Guarda dentro il fatto-flutto della storia, la vita, come in un’ om­bra, guarda nella spaccatura di un frutto crol­lato dall’ albero, guarda verso il cielo: il ca­stello-im­magine si trasfonde in una mac­china, un cervello arti­ficiale. La strada traversa il bosco, obbli­gando l’essere a se­guirla ...








Pioggia e futuro



Pioverà, sopra il millennio, per anni e anni; riaffioreranno scene d’ in­fanzia, ristagneranno echi del passato; emer­gerà allora una voce gelida: «Sono lassù, Amore, al cospetto di un vi­deo­game; sono un bimbo che gioca racchiuso in un cerchio. Non sai chi sono veramente; sarò il bimbo so­vrano, fino alle soglie della violenza; niente più di sequenziale fi­nal­mente: dimen­ticami ...».

Qualcosa dell’ infanzia si era sempre cullato in lui, nel suo es­sere adulto, nel suo ventre di schiavo dagli occhi dolci; ed ora non chiederà che di gio­care: è rimasto qualcosa di lui, del le­gno o del metallo da cui era nato? 

Ora, nonostante la tempesta, sarebbe stato per sempre rac­chiuso in una cosa, nel suo sogno più frequente: quel bam­bino che era il mio destino ...







Nevi di marzo



Io forse-moderno cammino lungo una stradicciòla cam­pe­stre, cammino nel cuore della storia: stanze non mie. Vedo la neve ammuc­chiata ai lati del mio cammino: adorabile laboriosità umana, caffè bevuti fu­manti, un gran par­lare ...; vedo cavità-nidi, civiltà: è la neve di marzo, con le sue dita, la sua levità-dono ...

Ora, cessando il nove­cento (l’ orrido del tempo storico, così ac­que­rellato), io mi fermo di marzo ad osservare la neve ... Se levo gli occhi al cielo ho cime innevate.

Piedi nella sto­ria, fra nulla e reli­gione.








Declinazioni: quattro di maggio del ‘92



Quattro di maggio, del ‘92; ora ci sono dentro. Dico quat­tro di maggio del ‘92 per dire:
in qualche modo il mio sollievo, nel te­pore,
la fine della prima­vera con le sue precocità,
la fine del freddo che mi è sembrato sovrumano,
i passeri che con i loro voli nervosi dovevano sempre commisu­rarsi alla fame, al gelo, alla fuga ...

Che ora molto cambia:
che gli uccelli scelgono il mio terrazzo, che vengono le amicizie del terrazzo, un’ apertura in me, 
che da qualche giorno ria­scolto, al mattino, il canto degli uc­celli, la parola che infrange la storia,
che trapasso l’insin­ce­rità.
(quel canto sento che presto si tradurrà in cal­colo, in lavoro, in pane, che si rinnova ...)









Il sole che viene e va



Correre, in un giardino, e raggiungere un bivio: tutto fin­ché è vivo raggiunge un bivio, dopo avere camminato a lungo, amato a lungo, rinunziato a lungo, mangiato a lungo: bi­vio dei sensi ...

Ovvero ci si arresta im­provvisamente, nella corsa, si cade nel dubbio, per­ché l’ aria è cambiata, il freddo è sorprendente, ha la stessa natu­ralezza del caldo e questo fà male; è male fisico,  muro im­provviso ...

Tutto è perché accade in un giorno di primavera in cui il sole viene e va; tutto è un po’ ingresso di caverna  ...




[1] Identificazione nietzscheana (Crepuscolo degli idoli).
[2] Aristotele.
[3] Sun Tsu, L’ arte della guerra (trad. it., Roma 1990, p. 42).
[4]«Per le anime è morte diventare acqua»: Eraclito, Dell’ origine  (frg. n. 112, ed. Tonelli, Milano 1993).
[5]  Empedocle, Poema fisico (Proemio, vers. 32: trad. it., Milano 1993). 
[6] Noto principio baconiano.
[7] Minskiana.
[8] Spunto tratto da J. Derrida

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