domenica 17 marzo 2013

Senza che vi sia Luna (frammenti personali)




Il compleanno

La storia cambia
nel dolore,
nasce questa sera la luna
senza un canto;
intorno tutto tace: primo compleanno di me febbricitante senza una ma­dre...
Lei era oramai ossa di cristallo, a tratti con­tenta del poco, il suo cancro l’aveva in­gentilita...

Tutto tace intorno, fuori fà freddo, affiora l’essere qual è; questo, quello, qualsiasi. 
Dice il vento smorfia notturna: Sii come il frutto, staccato dall’albero... 



Giochi d’ombra

Quale l’ombra, Pietro,
per un sole non convincente?
Giocavi col legno colorato sotto gli occhi d’acqua di tua madre, ed io lontano, indifferente, quasi adulto...

Eccoci infine dopo anni immersi nel verde di un prato straziante, verde-ricordo... come comici. In giochi d’ombre, che sono colonne, contro il sole, che ci sta a guardare.




Veli e foglie

Ha perso i veli, la verità, per aver detto noi che ne aveva tanti. È così che un al­bero perde le sue foglie?
Verità d’autunno: guardare nel buio credendo di vedere...



Limoni

Porta in dono limoni, frutti del suo albero, del suo sapere; propone sorridente eterna maternità... ma grembo inaridito
Così è Lei
forse mostra una strada, un terrapieno... che è polpa-di-limone.

È semplice ninfa forse col cuore tremolante, che vuole giocare?





Versetti

Il vero?
Qualcosa di rilavato, ricavato; o non piuttosto al­tro, in questo?
Versetti, sempre preferibili forse, del mio
materialismo, ov­vero il mattino, l’allegro nell’aria, l’oro causato dal giallo, l’amore per il canto degli uccelli. Farà infine che si esca dalla notte?...



Rinnovato sapere

Ogni giorno salvarsi (come oro)
anche dall’incanto di un uliveto che giace al sole, con gusto di marmo
non dovrà ingannarmi l’antichità né il profondo...
Salvarsi dal vecchio linguaggio, messosi sempre in vetrina
dal mondo degli occhi, il più bello...
Sempre sarà così rin­no­vato sa­pere.



Ospite del cielo

Ospite del cielo,
ospite mattiniero del negozio dei petali dei fiori:
li annusa, esamina la merce, ronzando poi via ridicolo.

Io prendo così i miei arnesi al mattino ed esco nell’aria,
ospite del cielo.



Il confine del dono

Non ancora ragazzo avrei vo­luto
raccogliere grappoli d’uva
in un vigneto vasto, tranquillo,
la terra bruciata dal sole;
ma di quel vi­gneto non sapevo la fine, la forma: non v’era per me con­fine nel dono...
Avrei do­vuto capire la luce quando è gra­vida d’ombra?...



Alfabeto delle stelle

Stelle, manto stellare, alfabeto delle stelle;
forse spiriti ante-­nati, forse forse neanche nati, forse brillanti numeriche trasgres­sioni: ciò che coi sensi non riesci a calcolare... 
Così si scivola nella culla della notte, stile severo dell’aria se­rena:
il nulla dal volto placato, il pensiero del nulla.



Scroscio di una pioggia appena nata

Meglio si è alle volte
attenuandosi il cuore nello scroscio di una pioggia appena nata,
presto fattasi totalità;
un basso ululo, che prende lo stomaco,
facendo che si ruzzoli fra i ricordi.



Una lampada

Cigolii e silenzio, corse del vento
aria arruffata.
Dentro giochi di tempesta una lampada traballa sospesa ad un cavo d'acciaio.
Io la credo triste e non capisco: lei dispettosa si diverte...

Così sono le cose necessariamente.
Tuona, lontano...
l'inverno è una voce
nel cuore di una stradicciòla
sonante di pioggia.


Occhi molto umani

Lieve correr via del cavallo (dodicennedagli occhi molto umani)
nel timido declinare del colle storico
suo farsi poco più in là, forse non in disparte...

Riconquiste del senso, del bene,... lo vediamo penetrati fra rovi e fronde, fra cespugli, nel fitto della natura-ombra (il volto metallico di una vettura, bel pro­dotto lucente graffiato, reso opaco dalle spine dei rovi, che sono come gridi..., con nes­suna profondità: stare del dolore come una superfi­cie...). 

I bimbi del colle giocando fanno correr via
il cavallo dagli occhi molto umani, molto paterni...
Occhi molto umani tristemente adulti significa nulla...
Ci saranno solo domande, come foglie e fiori...
I bimbi del colle continueranno a giocare
immersi nell’aria.



Il finocchio

Quanto più cresce il giovane finocchio
nel suo chiarore,
nel pro­fumo fra cielo e terra, tanto più è felice l’insetto,
il meccanismo che vola,
sugge dove può la sostanza lascian­dolo
fermo nell’appa­renza
con vi­brar d’ali
quasi-per­fetto...



Eclissi

Ho visto due eclissi del sole, piacere-paura sottile nel ve­dere af­fe­zioni,
cedimenti inattesi, in lontananza...
Vor­rei aver riso, forse, almeno una volta
ma avevo solo occhi...

Giorno e notte sono affezioni, forse lo sono anche le stagioni;
molto di cui ci si nutre, molto di più di quanto non si creda, è l’eclissi, l’altrui pena...

Hai visto tu anche eclissarsi la ragione,
il cava­liere su­perbo disarcionato dal cavallo,
malattia in fondo del bello


Ballata dell’io penso

Torcersi spontaneo di un giorno
freddo e ventoso
verso la sua conclusione...

La sera, come archiviando, spe­gnendo,
mu­si­cando,
una gelida tra­montana corre per le strade, fra le case
 intorno alle cose;
salta sui muri, sui balconi, sopra i tetti; poi
abbandona l’abitato cieco, la pianura;
risale de­cisa i sen­tieri di un colle...
Là per­cuote il fogliame e i secchi arbusti,
con rumore di tempo: quelli si piegano impacciati
e il loro restare così trafitti è ridicolo, per la mia contemplazione...

Ballata dell’io penso, che si sente così refrigerato:
un parlare as­soluto, un poter gridare, la forza di liberarsi del guscio
il dire con forza: Può es­sere che stia so­gnando, solo sentendo di smarrirsi... 



Gusci antichi

Ammalarsi del tempo, visto di lontano
improvviso rab­buiarsi delle creste dei monti
ondeggiare con scon­quasso
nella fu­ria del vento serale delle fronde degli alberi neri (piccoli po­derosi al­beri d’inverno...
senza ru­more di fronde,
senza che vi sia luna in quell’on­deggiare notturno, nemmeno do­lorosa morte... 
Antico guscio della lontananza, nato per dare conforto
gu­scio an­tico degli occhi...



Il fuoco e il corpo

Dentro è l’assoluto, il seme nascosto, il sorprendente:
il fuoco contro il viso della notte...
Fuori s’agita il corpo, minuto, realismo del nido;
il piccolo corpo ha gli occhi come finestre... belli, luminosi, solo da con­templare come acque.
Il corpo spesso prevale sul fuoco, dà il senso della notte
alle volte rattrista... ma poi?...



Un gatto

Si culla vicino alle mie ginocchia, le sfiora appena
lo ri­co­no­sco
ha pelo soffice, ha il senso del dubbio
è un gatto.



Il sonno

Il passero che ha i miei occhi, che con­divide la mia stessa luce, ha capito: deve dormire molto per poter viaggiare (alzarsi in volo forse sopra l’eterno, che lo costringe al canto), forse per poter a modo suo vo­lere...
Il sonno - sembra dire - è la libertà dei poveri: ovunque po­ter ap­pendere il corpo, nostalgico.
Grande libertà, io penso, nel sol­lievo; ma vorrei tanto man­giare quell’uccellino: potrei rapirlo nei suoi stessi so­gni...



Stile giallo

Sulla superficie del mare antica-immobile 
nella notte calma furtivamente la luna si fà specchio ...

Forse lei è sorri­dente...
Quella superficie è linguaggio
nel linguaggio la paura si spec­chia in stile giallo.
Ma è la luna bellissima ciò che vedo
e sotto sotto non so quanti tu­multi...


Giorno dopo giorno

La notte sino alle tre
nel frutteto
ha cantato l’usignolo

verso caldo
pungente-piangente
del solista.

Ed era il volto di aldo, l’ottimista…

Poi l’abbaiar dei cani
poi più nulla
il sonno mi ha preso con sé.

Ho ritrovato nell’alba
canti minuti
sparsi nell’arco del cielo
gridi dell’Essere
giorno dopo giorno.

Questo accade
al mio vecchio sen­tire.
Mai saprò che cosa sia
il canto degli uc­celli
il vo­lare sui tetti...




Morbide ciglia del vento

Aria rossa ardente
sgorga
dai fonti di terra
come fumo.

Che cos’è
nell’orizzonte
la Città
canto dei vivi?
Ritmi notturni
impressi nel cuore
da sempre.

Così me ne sto fantasticando
fra il passo del tempo e il farsi sera
morbide ciglia del vento.




Alberto

Alberto è il giorno velato
d’agosto
la pelle scurita dal sole

l’uva
che va colta quando è tempo

il pruno
che cola il suo giallo...

è l’orto pomeridiano
il verso di una tortora bianca
in un cielo blu
di solo sguardo.




La luna titubante

La luna titubante...
così è la sera ...
Si sveste ...

La febbre nell’aria è leg­gera.

La civetta
avanzandosi la notte
canta
d’impenetrabili piogge...

Quel canto è grido
immortale
è notte
è sgo­mento...
l’aria alfine sarà rumore
di solo vento.



Profumo di pane

Quell’angolo del pane
sempre sarà lo stesso,
nascerà nel cuore
ogni mattino.

Due-tre cartine di caramella
salite d’improvviso sul dorso del vento
polveroso;
due bimbi rilavati, fermi
che si guar­dano in si­lenzio;
un cane che passa incu­rio­sito;
il canto del mare
seminascosto.

Io dialogavo con giovani fantasmi, allora
ed ero lambito dal sole come da un’onda.


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