1.- Marta, itinerari del senso di
colpa
Lui, P., andava a trovarla, in una pensione.
Il primo giorno stava bene, Marta, con la sua camicia da
notte color crema; rispondeva alle domande, era serena, non sembrava nemmeno
ammalata.
P. era contento che lei non soffrisse, o non sembrasse
soffrire, lo era al punto che si domandava perché la sua vecchia amica - che
egli almeno riteneva tale: ma forse era la madre, una sorella - giacesse lì, in
quel letto vicino alla finestra, collocato verso il centro della stanza chiara,
quando avrebbe potuto fare una vita eguale a quella di tante altre donne:
uscire al passeggio, conversare con le amiche...
Era strano, ma per lui quella domanda era come un problema
da risolvere logicamente, con la sintassi del suo cervello non più tanto
giovanile: aveva ora quarant’anni. E forse la donna, in quella condizione, li esprimeva,
fungeva da allegoria.
Quando era per strada quella domanda lo ossessionava: quelle
donne, che suscitano la solidarietà dei passanti, per la loro manifesta età
oramai non più verde, erano fortunate, potevano camminare per la strada,
osservare le vetrine dei negozi, salutare i conoscenti, ecc.; esse rientravano
nella normalità e non erano colpevoli di tutto ciò che potesse loro accadere,
questo andava riconosciuto ... ma quanto era idiota il fatto che fossero esse a
voler essere compatite e quanto lo erano i passanti che le salutavano, che le
compativano.
Il primo giorno - questo P. lo avrebbe ricordato finché
fosse vissuto - quella stanza chiara era piena di sole. C’erano altre due
donne, silenziose; c’era l’armonia, in quella stanza d’albergo.
Tornò a trovarla più volte, P., e lì trovò un giorno il
fratello, che ai piedi di Marta scherzava amabilmente. Non riusciva a capire
che razza di rapporto fosse quello suo con il fratello. Era sì il fratello, ma
poi? Forse si fingevano fratelli, facevano del tutto per esserlo ... forse un
giorno lo sarebbero stati, perché non lo sarebbero mai stati…
Amici non sarebbero mai potuti esserlo, se le parole, le
singole parole, avevano significati abissalmente lontani per l’uno e l’altro; e
allora?
Suo fratello quel giorno s’intrattenne al capezzale di Marta
più a lungo del solito (di solito veniva e andava, correndo dietro ai suoi
appuntamenti, una parola che P. non capiva, e dunque odiava) ed era sera, una
rossa sera, mite, quando i due si abbracciarono e si separarono, come debbono
fare i fratelli. P. notò che da qualche anno, stranamente, abbracciava e baciava
molto di più di quanto avesse mai immaginato. Sapeva che era una commedia ma lo
faceva egualmente.
Un giorno, era di domenica, un giorno di festa, quella
stanza si popolò, erano le visite dei parenti, secondo l’usanza, e dunque al di
fuori di ogni coscienza, e gli apparve come la sala di un ristorante, gli
ricordava meglio una trattoria nella quale andava con i genitori, vicino a
Firenze, in una dolcezza straziante delle domeniche d’inverno, sotto
carnevale, con il fiumiciattolo nativo dell’Appennino che s’insinuava in un
pioppeto, un ponticello di legno, e i mascheroni di cartapesta seminascosti coi
colori in penombra ad una stradina soleggiata, in una rimessa per i carri. Il
fratellino, graziosissimo, con gl’istinti di gatto, che dava camminando la mano
al padre.
... Aveva gli occhi volti al soffitto, mentre ricordava
queste cose, e Marta se ne accorse, e lo guardava. Marta adorava, lei che
aveva lavorato duro tutte le settimane, andare la domenica al ristorante: “per
farsi servire”, diceva.