domenica 13 luglio 2014

Odore di tradizione



Una nuvola di fumo si arrestò accanto alla testa di un giovinetto soldato, con il cuore ignorante e gonfio del mestiere di vivere. 
Di fronte a quegli occhi doloranti e a quel mugugno di bestiola passò veloce e lieve una figurina sottile, smunta: sembrava fatta con il filo di ferro (: l’eterno principio 'femminile'…).
Era povera cosa, lei, sotto il cielo triste di fuliggine, cosicché per due tipi che parlottavano a due metri di distanza vederla e non vederla fu lo stesso. 
Lui invece si aggiustò per un attimo la cravatta e subito dopo i capelli, come faceva suo padre e con gli occhi lucidi da scemo si protese verso quella immagine girando sul perno dei tacchi delle scarpe banali lucide e nere. Poi la seguì facendosi incalzante, sino a somigliare a un’onda paurosa. 
Lei forse in quel momento pensò alla madre e chiamò in aiuto la pioggia, con la mente, come era solita fare da bambina quando di notte invocava un aiuto, perché la città così la terrorizzava; ma continuava a sporcarsi di fuliggine e quella sostanza immensa e leggera si chinava sul suo corpo, come una galleria luminosa, e lei era amareggiata, perché si sentiva ridere in faccia.
Allungò il passo e si guardò dietro, sorpresa ora da un improvviso conflitto, l’intramontabile senso del pudore, mentre al suo segugio l’aria gonfiava i pantaloni. 
Egli le si accostò; come un’ombra a mezza voce le confidava qualcosa di non vero, una promessa; ma a quel punto aveva già le narici gonfie e cominciava a maledire quell'oggetto. 
Qualcuno laggiù, in fondo alla folla suicida della piazza, urlava come un organo impazzito: era uno col cappello grigio e la valigia tenuta con lo spago, che sapeva di olio extravergine di oliva. 
Il soldatino allora rispose gettando uno sguardo violento nel gruppo delle teste insignificanti -  panni stesi ad asciugare al sole -, che uscivano ed entravano dalla stazione dei treni, con passo un po' marziale. Il giovinetto soldato rallentò, fatalmente si distrasse, perse il tempo... 
e lei si allontanò, con il suo passo; sparì, portandosi via un mondo e credette di capire che quel ragazzo in divisa non aveva capito niente… 

sabato 12 luglio 2014

Millesettecentonovantanove



Due studenti parlavano del più e del meno, nel millesettecentonovantanove; e c’era un diavoletto tutto rosso alle loro spalle e aveva in mano una siringa… 
Nel frattempo un soldato in divisa, blue rosso e bianco, guardava in lontananza e sì, forse pensava ai campi, con un gomito poggiato su di un carro senza cavallo... 
e dietro di lui s’intravvedevano altri due diavoletti ghignanti e rossi, che cercavano di spezzare una ruota del carro. 
Una testa grassa e occhialuta - lo storiografo forse o un uomo di spirito? - osservava e sorrideva, divertito: i diavoletti che non osano sollevare le gonne della massaia, corsa alla fontana alla fine della luce meridiana, e che non versano a terra il latte di piccoli affamati, riescono a mandare in malora i bei piani della Ragione, i desideri colti dei nobili che si atteggiano a giacobini. Sono questi forse i misteri della religione? 
Non resta alfine che un bagno, una calda pioggia, che lava una sagoma inodore di nobildonna, lasciata penzoloni sul capestro; sui cui capelli nero corvini corrono a ridere gli uccelli... 
“A' rivoluzzione' è curnuta, te o' dich'io!”, urlò qualcuno con voce roca dialettale dal fondo di una qualche bottega che doveva essere lì da qualche parte nella piazza; poi l’intervento del silenzio; qualche colpo di martello nato in un’officina; e una qualche canzone, di quelle parlate del popolo minuto, a dire il tempo e della rinascita perduta... 

venerdì 11 luglio 2014

Paternità


“Che cosa stai cantando, piccolo dono del cielo? Non riesco a capire le tue parole…”.
Ma lei si gira dall’altra parte e mi volge le spalle profumate e so che vuole il suo bel mondo sferico di fronte solo ai suoi occhi. 
Per cantare ha bisogno di essere sola, la piccolina: non le va di essere ascoltata, capita, contaminata.
Continua a gesticolare come un burattino, eroicamente a modo suo; e la mia mente che corre verso quella nascita notturna che mi riempì gli occhi d’incredulità; e a quando si trattò di aggiungere un posto a tavola: che sorpresa l’esistenza, il tuo essere fra noi … Certo che per ognuno dev’essere così; ma io dimentico di pensarlo …

Anch’io ho imparato a cantare e mi sono provato a prendere fogli e riempirli di case, di alberi, di strade come per imitarla; ridendo di me incredulo e divertito … Ma io ero così? 
Evidentemente molto ora si è stravolto, se ciò che faccio è la mia natura; molto era impensabile sino a qualche anno fa; ma ora accade e voglio prenderla come una mia docile rinascita. Ma non è tutto così semplice e io so che in me qualcosa è morto… 
Allora prendo una carta geografica e dico alla bambina come un vecchio saggio: “Vedi questa è l’Europa, questa è l’Italia e qui ci sei tu”. 


E lei ride divertita e guarda me, il mio viso, non la cartina geografica che ho messo sul suo tavolino; e poi riprende a cantare, con forza… e io la guardo cantare, in lontananza e nemmeno la sento…