venerdì 11 luglio 2014

Paternità


“Che cosa stai cantando, piccolo dono del cielo? Non riesco a capire le tue parole…”.
Ma lei si gira dall’altra parte e mi volge le spalle profumate e so che vuole il suo bel mondo sferico di fronte solo ai suoi occhi. 
Per cantare ha bisogno di essere sola, la piccolina: non le va di essere ascoltata, capita, contaminata.
Continua a gesticolare come un burattino, eroicamente a modo suo; e la mia mente che corre verso quella nascita notturna che mi riempì gli occhi d’incredulità; e a quando si trattò di aggiungere un posto a tavola: che sorpresa l’esistenza, il tuo essere fra noi … Certo che per ognuno dev’essere così; ma io dimentico di pensarlo …

Anch’io ho imparato a cantare e mi sono provato a prendere fogli e riempirli di case, di alberi, di strade come per imitarla; ridendo di me incredulo e divertito … Ma io ero così? 
Evidentemente molto ora si è stravolto, se ciò che faccio è la mia natura; molto era impensabile sino a qualche anno fa; ma ora accade e voglio prenderla come una mia docile rinascita. Ma non è tutto così semplice e io so che in me qualcosa è morto… 
Allora prendo una carta geografica e dico alla bambina come un vecchio saggio: “Vedi questa è l’Europa, questa è l’Italia e qui ci sei tu”. 


E lei ride divertita e guarda me, il mio viso, non la cartina geografica che ho messo sul suo tavolino; e poi riprende a cantare, con forza… e io la guardo cantare, in lontananza e nemmeno la sento… 

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