“Che cosa stai cantando, piccolo dono del cielo? Non riesco a
capire le tue parole…”.
Ma lei si gira dall’altra parte e mi volge le spalle profumate e
so che vuole il suo bel mondo sferico di fronte solo ai suoi occhi.
Per cantare ha bisogno di essere sola, la piccolina: non le va di
essere ascoltata, capita, contaminata.
Continua a gesticolare come un burattino, eroicamente a modo suo;
e la mia mente che corre verso quella nascita notturna che mi riempì gli occhi
d’incredulità; e a quando si trattò di aggiungere un posto a tavola: che
sorpresa l’esistenza, il tuo essere fra noi … Certo che per ognuno dev’essere
così; ma io dimentico di pensarlo …
Anch’io ho imparato a cantare e mi sono provato a prendere fogli e
riempirli di case, di alberi, di strade come per imitarla; ridendo di me
incredulo e divertito … Ma io ero così?
Evidentemente molto ora si è stravolto, se ciò che faccio è la mia
natura; molto era impensabile sino a qualche anno fa; ma ora accade e voglio
prenderla come una mia docile rinascita. Ma non è tutto così semplice e io so
che in me qualcosa è morto…
Allora prendo una carta geografica e dico alla bambina come un
vecchio saggio: “Vedi questa è l’Europa, questa è l’Italia e qui ci sei
tu”.
E lei ride divertita e guarda me, il mio viso, non la cartina
geografica che ho messo sul suo tavolino; e poi riprende a cantare, con forza…
e io la guardo cantare, in lontananza e nemmeno la sento…
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