mercoledì 10 dicembre 2014

Il muro del cimitero



Una notte, mi ritrovai su un'automobile, la mia presumo, che guidavo apparentemente e cioè sentivo di non poter controllare.
D'un tratto nella foschia intravvidi un muretto, o forse un muro, che mi si faceva incontro rapidamente.
Impaurito cercavo di frenare onde evitare l'impatto, sentendo che l'urto sarebbe stato sicuramente mortale.

Il muro era lì di fronte a me che si avvicinava sempre di più e io cercavo di frenare con tutte le mie forze ma il pedale del freno non rispondeva... D'un tratto mi accorsi poi che quello era il muro di cinta di un cimitero, che sentii come quello lontano dalla mia città nel quale erano sepolti i miei genitori...
A quel punto l'effetto fu sorprendente: d'un tratto fu come se l'impatto non dovesse mai avvenire e io smisi di avere paura, finché l'automobile non si fermò, da sola, ma a una buona distanza dal muro, e io che non avevo fatto nulla per fermarla...

domenica 13 luglio 2014

Odore di tradizione



Una nuvola di fumo si arrestò accanto alla testa di un giovinetto soldato, con il cuore ignorante e gonfio del mestiere di vivere. 
Di fronte a quegli occhi doloranti e a quel mugugno di bestiola passò veloce e lieve una figurina sottile, smunta: sembrava fatta con il filo di ferro (: l’eterno principio 'femminile'…).
Era povera cosa, lei, sotto il cielo triste di fuliggine, cosicché per due tipi che parlottavano a due metri di distanza vederla e non vederla fu lo stesso. 
Lui invece si aggiustò per un attimo la cravatta e subito dopo i capelli, come faceva suo padre e con gli occhi lucidi da scemo si protese verso quella immagine girando sul perno dei tacchi delle scarpe banali lucide e nere. Poi la seguì facendosi incalzante, sino a somigliare a un’onda paurosa. 
Lei forse in quel momento pensò alla madre e chiamò in aiuto la pioggia, con la mente, come era solita fare da bambina quando di notte invocava un aiuto, perché la città così la terrorizzava; ma continuava a sporcarsi di fuliggine e quella sostanza immensa e leggera si chinava sul suo corpo, come una galleria luminosa, e lei era amareggiata, perché si sentiva ridere in faccia.
Allungò il passo e si guardò dietro, sorpresa ora da un improvviso conflitto, l’intramontabile senso del pudore, mentre al suo segugio l’aria gonfiava i pantaloni. 
Egli le si accostò; come un’ombra a mezza voce le confidava qualcosa di non vero, una promessa; ma a quel punto aveva già le narici gonfie e cominciava a maledire quell'oggetto. 
Qualcuno laggiù, in fondo alla folla suicida della piazza, urlava come un organo impazzito: era uno col cappello grigio e la valigia tenuta con lo spago, che sapeva di olio extravergine di oliva. 
Il soldatino allora rispose gettando uno sguardo violento nel gruppo delle teste insignificanti -  panni stesi ad asciugare al sole -, che uscivano ed entravano dalla stazione dei treni, con passo un po' marziale. Il giovinetto soldato rallentò, fatalmente si distrasse, perse il tempo... 
e lei si allontanò, con il suo passo; sparì, portandosi via un mondo e credette di capire che quel ragazzo in divisa non aveva capito niente… 

sabato 12 luglio 2014

Millesettecentonovantanove



Due studenti parlavano del più e del meno, nel millesettecentonovantanove; e c’era un diavoletto tutto rosso alle loro spalle e aveva in mano una siringa… 
Nel frattempo un soldato in divisa, blue rosso e bianco, guardava in lontananza e sì, forse pensava ai campi, con un gomito poggiato su di un carro senza cavallo... 
e dietro di lui s’intravvedevano altri due diavoletti ghignanti e rossi, che cercavano di spezzare una ruota del carro. 
Una testa grassa e occhialuta - lo storiografo forse o un uomo di spirito? - osservava e sorrideva, divertito: i diavoletti che non osano sollevare le gonne della massaia, corsa alla fontana alla fine della luce meridiana, e che non versano a terra il latte di piccoli affamati, riescono a mandare in malora i bei piani della Ragione, i desideri colti dei nobili che si atteggiano a giacobini. Sono questi forse i misteri della religione? 
Non resta alfine che un bagno, una calda pioggia, che lava una sagoma inodore di nobildonna, lasciata penzoloni sul capestro; sui cui capelli nero corvini corrono a ridere gli uccelli... 
“A' rivoluzzione' è curnuta, te o' dich'io!”, urlò qualcuno con voce roca dialettale dal fondo di una qualche bottega che doveva essere lì da qualche parte nella piazza; poi l’intervento del silenzio; qualche colpo di martello nato in un’officina; e una qualche canzone, di quelle parlate del popolo minuto, a dire il tempo e della rinascita perduta... 

venerdì 11 luglio 2014

Paternità


“Che cosa stai cantando, piccolo dono del cielo? Non riesco a capire le tue parole…”.
Ma lei si gira dall’altra parte e mi volge le spalle profumate e so che vuole il suo bel mondo sferico di fronte solo ai suoi occhi. 
Per cantare ha bisogno di essere sola, la piccolina: non le va di essere ascoltata, capita, contaminata.
Continua a gesticolare come un burattino, eroicamente a modo suo; e la mia mente che corre verso quella nascita notturna che mi riempì gli occhi d’incredulità; e a quando si trattò di aggiungere un posto a tavola: che sorpresa l’esistenza, il tuo essere fra noi … Certo che per ognuno dev’essere così; ma io dimentico di pensarlo …

Anch’io ho imparato a cantare e mi sono provato a prendere fogli e riempirli di case, di alberi, di strade come per imitarla; ridendo di me incredulo e divertito … Ma io ero così? 
Evidentemente molto ora si è stravolto, se ciò che faccio è la mia natura; molto era impensabile sino a qualche anno fa; ma ora accade e voglio prenderla come una mia docile rinascita. Ma non è tutto così semplice e io so che in me qualcosa è morto… 
Allora prendo una carta geografica e dico alla bambina come un vecchio saggio: “Vedi questa è l’Europa, questa è l’Italia e qui ci sei tu”. 


E lei ride divertita e guarda me, il mio viso, non la cartina geografica che ho messo sul suo tavolino; e poi riprende a cantare, con forza… e io la guardo cantare, in lontananza e nemmeno la sento…